E poi accade che ci ritroviamo a parlare di femminicidio, violenza, aggressione, molestia privata o sul luogo di lavoro, e ci chiediamo, ancora una volta, cosa non ha funzionato, perché è successo. Dati in crescita di anno in anno, che lasciano senza parole e forse ci fanno sentire impotenti di fronte a quello che l’ONU ha definito come “un flagello mondiale” a causa della sua diffusione in tutti i Paesi compresa l’Italia.
Adesso io però sono davvero un po’ stanca, stanca di essere diplomatica, educata, gentile, moderata. Adesso sono arrabbiata. Perché indietro non si torna. I lividi non si cancellano, le ferite rimangono, i traumi sono faticosi da elaborare, gli “stai zitta” non si dimenticano, la paura non si elimina. Bisogna agire, prima di tutto fare. Cosa non ha funzionato? Tutto. Perché fino a che non alzeremo il volume delle richieste di aiuto e non riusciremo finalmente a rilevare i segnali deboli di una relazione, ma ancor prima di una società ammalata di pregiudizi e stereotipi, saremo ancora qui a contare nuove vittime. Per quanto tempo ancora la cultura della violenza rimarrà insediata nelle case, pronta ad avvelenare le famiglie, i figli maschi e la cultura di genere?
Mattarella lo scorso 25 novembre ha affermato che la violenza sulle donne "È un'aperta violazione dei diritti umani, purtroppo diffusa senza distinzioni geografiche, generazionali, sociali. Denunciare una violenza è un atto che richiede coraggio. Abbiamo il dovere di sostenere le donne che hanno la forza di farlo, assicurando le necessarie risposte in tema di sicurezza, protezione e recupero", ha aggiunto il Capo dello Stato. Tutto sta in questa intuizione illuminata di definire la violenza come una violazione dei diritti umani perché è arrivato il tempo di uscire dagli stereotipi anche verbali e sfuggire dalle gabbie ‘uomo e donna’ per approdare all’uomo in quanto rappresentante del genere più alto, che tutti li rappresenta, il genere umano.
Basta date, definizioni, decaloghi e cerimonie. Interveniamo. Con progetti nelle scuole, nelle università, nelle aziende, nelle famiglie. Tutti i giorni, fino al giorno in cui potremo dire che qualcosa è davvero cambiato, che il vicino di casa è intervenuto, che la migliore amica ha denunciato, che la comunità ha protetto, che l’azienda ha fatto prevenzione e ha supportato. Quella sarà una data da festeggiare. Un giorno che celebrerà l’intervento, il fare, la partecipazione direbbe qualcuno molto più meritevole di me.
Ho visto il meraviglioso film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani”, un poetico e attuale inno a tutte le donne che si considerano delle nullità, che non si rendono conto delle discriminazioni e delle violenze che subiscono, perché così è stato insegnato e così è stato visto. Il film è ambientato nel 1946 ma risuona tantissimo nella cronaca italiana di oggi, porta luce con sensibilità e intelligenza sulle violenze domestiche e nei luoghi di lavoro, sulle discriminazioni, sul divario di genere, sullo svilimento continuo delle donne ma anche sulla forza indomabile di ogni donna “invisibile”.
Sogno con forza un mondo in cui le donne possano vivere in sicurezza, rispettate, consapevoli del proprio valore. La lotta contro la violenza di genere richiede uno sforzo collettivo, e dobbiamo impegnarci con determinazione per ottenere un cambiamento significativo. Molto più spazio è importante che sia dato alla prevenzione e alla cultura della sicurezza e della parità di genere ‘A difendersi si impara’ oltre ad essere il nostro progetto contro la violenza sulle donne, è il nostro credo, ogni donna può imparare a farlo, ogni uomo può imparare a farlo, ogni comunità deve imparare a farlo.
Voglio avere e diffondere speranza, insieme possiamo farcela.
Paola Guerra
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