Diciamocelo chiaramente. Lo sapevamo, e non abbiamo fatto nulla. Né prima, né durante. L’allerta non ha funzionato e inevitabilmente l’intera Emilia-Romagna si è trovata a dover fronteggiare la peggiore alluvione di sempre – peggio è stato registrato solo nel Polesine.
Se non si prende coscienza che la parola chiave è prevenzione, continueremo sempre a trovarci nella situazione di dover sborsare miliardi di euro per ricostruire. Secondo una ricerca del PewTrust (link) ogni dollaro speso in prevenzione e riduzione dei rischi fa risparmiare 6 dollari in costi di risposta e ripristino. Per far capire meglio l’entità delle cifre, attualmente il governo ha già stanziato 2 mld di euro per i primi interventi. Se questi 2 mld fossero stati stanziati per la mitigazione del rischio idrogeologico, avrebbero avuto un beneficio di 12mld di euro risparmiati in interventi di soccorso e ripristino. Non male, non c’è che dire.
Ma la realtà dei fatti purtroppo è diversa. È l’immagine di una nazione che non ha memoria. E’ l’immagine di una nazione che fa i conti – e gli scontri – con un sistema politico-amministrativo contorto, che invece di rendere la gestione del territorio meno macchinosa e più sostenibile, si complica dietro una miriade di norme e leggi che soffocano l’azione di intervento.
Se da un lato la prevenzione dei rischi ha ancora grandi lacune strutturali in termini politici e amministrativi, da un altro possiamo migliorare. Sto parlando della preparazione. Certo, la macchina dei soccorsi è ben rodata. Siamo decisamente bravi e capaci a mettere in moto migliaia di volontari pronti a portare soccorso. Ma la realtà è che la popolazione in generale non lo è. Non bastano, anche se portano un contributo importante, le campagne di informazione “io non rischio”. Non è sufficiente due giorni l’anno parlare di prevenzione e buone prassi di comportamento. Dobbiamo attuare un cambio di direzione; un cambio nella nostra cultura e percezione dei rischi; e un cambio sostanziale nella comunicazione del rischio. Dobbiamo – noi tutti – cominciare a capire che questi eventi saranno sempre più frequenti. In Italia abbiamo 8 milioni di persone che vivono in zone ad alto rischio frane o alluvioni. Oltre 20 milioni sono esposti a rischio sismico, e oltre 3 milioni in zone a rischio vulcanico. Per rendere le persone più resilienti, si deve necessariamente investire sempre di più sulla preparazione, spiegando come come comportarsi; si deve portare il cittadino ad essere protagonista di simulazioni, allo scopo di far toccare con mano cosa significa essere al centro di un disastro.
Su prevenzione e preparazione non si può più rimandare alle prossime emergenze. Sono le due parole chiave che dovranno diventare il nostro mantra. Dobbiamo intervenire in maniera incisiva sia sulle politiche di gestione del territorio, sia su programmi di educazione continua, dalle scuole al pubblico adulto; organizzazioni, enti e aziende. Se continueremo a posticipare al prossimo futuro, non avremo altro che emergenze a cui porre rimedio, e i bilanci, umani ed economici, saranno molto pesanti.
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