Viviamo in un momento storico in cui l’insicurezza è il denominatore comune delle nostre azioni, dei nostri stati d’animo e delle nostre vite professionali. Viviamo una perenne e prolungata situazione di emergenza che indebolisce la nostra capacità di costruire il futuro e la capacità delle Organizzazioni di gestire l’inatteso.
Siamo costretti a modificare linguaggi e procedure perché superati dai fatti, che impongono di adottare nuovi modelli di lettura della realtà e degli scenari futuri. E così spariscono i cigni neri senza però diventare bianchi, li ritroviamo in una nuova cornice in cui i toni di grigio sono a volte più chiari e a volte più scuri, l’unica certezza è, ahimè, che sono tutti diversi.
Situazioni di emergenza protratte nel tempo alterano la nostra percezione del rischio e se oggi siamo concentrati sulla pandemia e mettiamo in atto comportamenti adatti a quella situazione, domani, concentrandoci sulla guerra, rischiamo di dimenticare le responsabilità che ognuno di noi ha nei confronti dell’emergenza precedente. Precedente??? Anche questa impossibilità di definire una linea temporale precisa, la dice lunga sull’anomalia ‘strutturale’ di questo periodo di crisi.
Quanto incide la comunicazione nel definire la scala di priorità? Quanto è determinante spostare l’attenzione o accendere il riflettore? Quali ineluttabili conseguenze derivano dal sacrificio della verità e della trasparenza a vantaggio di strategie e tattiche di distrazione di massa?
Ecco, tutto questo diventa un esempio perfetto per comprendere il ruolo della Comunicazione di Crisi nella gestione delle emergenze, e la necessità di adottare piani strutturati da affiancare ai protocolli di crisis management, in qualsiasi situazione emergenziale.
Grazie a dinamiche, ormai molto note agli scienziati, il nostro cervello si concentra molto e poi dimentica, l’attenzione si polarizza, anche, e spesso, per sopravvivenza. Ce lo insegnano le teorie del lutto e del dolore, ci rivelano una delle più grandi capacità umane, quella di ‘sottrarre’ le vicende più dolorose dalla memoria, almeno negli aspetti più acuti, lasciando sì tracce degli eventi traumatici, ma neutralizzate ed emotivamente più accettabili.
È proprio questa la linea di contatto che tiene strettamente congiunte le dimensioni della comunicazione e della gestione della crisi. Ci risulta più semplice oggi capire che la trasparenza è l’unica soluzione, la verità è l’impegno più grande, ma anche che la narrazione positiva sposta l’attenzione dall’evento critico e l’assunzione di responsabilità avvia il processo di riparazione. E sarà proprio la comunicazione a ricordarci anche la necessità di acquisire le lezioni imparate, sempre, di qualsiasi tipo esse siano, per quanto dolorose. Saranno l’unico modo sicuro per impostare programmi di prevenzione che ci supporteranno quando la memoria personale e collettiva avrà rimosso, dimenticato, si sarà allontanata dalla criticità dell’emergenza per godere di un futuro che si desidera faccia meno paura.
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