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Accettare il rischio: quanto conta la fiducia?

Un rischio, in molti casi, può essere descritto e misurato con una certa accuratezza, ma ogni esperto di sicurezza sa (o dovrebbe sapere) che un risk assessment, per quanto statisticamente solido e affidabile, è totalmente inutile se il rischio in questione non viene accettato - e quindi percepito - dalle persone interessate. Un certo comportamento ritenuto sicuro non viene adottato perché i dati suggeriscono di farlo, ma perché si percepisce una minaccia concreta (se ne accetta l’esistenza) per sé e/o per gli altri. L’esempio più lampante della ricaduta pratica di tale questione è stato l’utilizzo dei dispositivi di protezione (es. mascherine) obbligatori durante la pandemia Covid-19: se credo che un virus non sia un problema per la mia salute vedrò le norme di sicurezza come un’imposizione illegittima a cui cercherò di sottrarmi.


È chiaro che la sfida per chi si occupa di sicurezza è quella di ridurre il gap tra il rischio “oggettivo” e il rischio soggettivo, e proteggere l’incolumità delle persone aumentando la loro consapevolezza dei potenziali pericoli a cui sono esposte; una sfida, questa, che crea non poche difficoltà a coloro che sono preposti alla gestione della sicurezza in qualunque contesto. Come fare?

Molto spesso, infatti, le persone comuni hanno una conoscenza limitata riguardo a questioni specifiche e complesse – come un nuovo virus, il cambiamento climatico, l’energia nucleare o l’intelligenza artificiale – e non possono fare affidamento sull’esperienza. Cosa facciamo quindi quando ci troviamo a dover valutare un pericolo o un rischio di cui abbiamo una scarsa conoscenza? Quali fattori influenzano maggiormente la percezione del rischio in situazioni di incertezza e assenza di informazioni?


In questi casi abbiamo bisogno di fare affidamento sul giudizio di qualcuno che magari non conosciamo personalmente o sulle istituzioni responsabili della regolamentazione e della gestione di certi pericoli. In altre parole, ci basiamo sulla fiducia che nutriamo verso la fonte di informazioni. La fiducia è un meccanismo importante nei processi di decision-making in quanto aiuta a ridurre la complessità e consente alle persone di mantenere la loro capacità di agire in un ambiente complesso [6]. È uno stato psicologico che favorisce l’accettazione della vulnerabilità sulla base di aspettative positive circa le intenzioni e il comportamento degli altri [5]. Essa si forma e si consolida a livello valoriale, per cui tendiamo a fidarci maggiormente di chi crediamo condivida i nostri stessi valori, e tanto più è forte questa convinzione, tanto più lo è fiducia che il rischio sarà adeguatamente gestito [1]. In particolare, secondo il modello TCC – Trust, Confidence, Cooperation [2] la volontà di cooperare (per es. accettare certi pericoli) avrebbe come antecedenti la fiducia (trust) nel senso appena descritto di similarità valoriale e la fiducia (confidence) basata su esperienze o evidenze precedenti che suggeriscono che eventi futuri si verificheranno secondo le attese.

Si tratta senza dubbio di un aspetto cruciale che chi deve valutare, gestire e comunicare il rischio – un Security Manager di un’organizzazione o le cariche governative di uno Stato – deve tener conto se vuole veicolare la percezione che la popolazione target ha di un certo rischio e di conseguenza che questo venga accettato, aumentando di fatto la probabilità che vengano messi in atto i comportamenti raccomandati.


Si potrebbe allora pensare che una fiducia totale, incondizionata, sia desiderabile e estremamente efficace nella gestione del rischio e che, di contro, scetticismo e diffidenza siano negativi e controproducenti. Tuttavia, esistono diverse posizioni in merito e, considerando trust e distrust come estremi di un continuum, alcuni studi suggerirebbero che, in alcuni casi, eccessivi livelli di fiducia (trust – confidence), che si traducono in accettazione acritica, potrebbero essere dannosi in quanto ridurrebbero la percezione del rischio e quindi la generale prontezza all’emergenza [7]. Si pensi, ad esempio, allo slogan Andrà tutto bene diffusosi nelle prime fasi della pandemia e utilizzato anche dagli esponenti politici in carica al tempo.

Al contrario, invece, la sfiducia (distrust) sarebbe una potenziale risorsa nei contesti di risk assessment e risk management [3], poiché favorisce il coinvolgimento attivo e la sensibilizzazione degli interlocutori. Chiaramente non si tratta di una forma estrema di cinismo che porta a un rifiuto categorico, ma un tipo “sano” di sfiducia, definita critical trust [4].


Come promuovere quindi questo rapporto di “fiducia critica” tra tecnici e pubblico per favorire una migliore accettazione del rischio? La comunicazione è il mezzo principale attraverso cui si influenza la percezione del rischio e si costruire tale fiducia. Il grande pubblico non pensa però al rischio in termini di numeri e statistiche, e l’incertezza costituisce un elemento centrale del modo in cui le persone comuni comprendono e si relazionano con il rischio. Chi comunica il rischio deve, pertanto, saper adottare un linguaggio che rifletta il modo in cui gli interlocutori interpretano i rischi e non aver timore di stimolare, almeno nelle prime fasi, un certo scetticismo, affrontando in modo proattivo le incertezze circa le conseguenze e mettendo in luce i limiti della conoscenza.

Sul lungo termine, questo approccio del rischio basato sull’incertezza [1], avrà un impatto positivo sulla percezione del rischio e ne ridurrà l’amplificazione, rafforzando la fiducia nella fonte autorevole di informazione ed evitando al contempo di generare comunicazioni conflittuali che possono invece ledere la fiducia e spingere le persone a cercare informazioni sul rischio altrove, magari da fonti non ufficiali e pochi affidabili.



Riferimenti

[1] Aven, T., & Thekdi, S. (2021). Risk science: An introduction. Routledge.

[2] Earle, T. C., Siegrist, M., & Gutscher, H. (2010). Trust, risk perception and the TCC model of cooperation. In Trust in Risk Management (pp. 18-66). Routledge.

[3] Fjaeran, L., & Aven, T. (2021). Creating conditions for critical trust–How an uncertainty-based risk perspective relates to dimensions and types of trust. Safety science, 133, 105008.

[4] Pidgeon, N., Poortinga, W., & Walls, J. (2010). Scepticism, reliance and risk managing institutions: Towards a conceptual model of ‘critical trust’. In Trust in Risk Management (pp. 131-156). Routledge.

[5] Rousseau, D. M., Sitkin, S. B., Burt, R. S., & Camerer, C. (1998). Not so different after all: A cross-discipline view of trust. Academy of management review, 23(3), 393-404.

[6] Siegrist, M. (2021). Trust and risk perception: A critical review of the literature. Risk analysis, 41(3), 480-490.

[7] Terpstra, T. (2011). Emotions, trust, and perceived risk: Affective and cognitive routes to flood preparedness behavior. Risk Analysis: An International Journal, 31(10), 1658-1675.




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