Il diritto di sognare in grande
- Laura Rigodanza

- 29 set
- Tempo di lettura: 3 min
C’è un momento nella vita di ogni bambino in cui il sogno non conosce confini: diventare astronauta, medico, presidente, artista. Ma spesso, troppo presto, per molte bambine accade qualcosa di invisibile e ingiusto: i loro sogni iniziano a rimpicciolirsi, a sembrare meno legittimi, meno possibili. È il Gender Dream Gap, il divario dei sogni, che ancora oggi limita la libertà interiore e le aspirazioni di milioni di ragazze in tutto il mondo.
Intorno ai sei anni le bambine cominciano a sperimentare un cambiamento che segnerà la loro vita. Iniziano a dubitare delle proprie capacità e soprattutto a ridurre la portata dei loro sogni: non pensano più di poter fare, da grandi, tutto quello che desiderano, ma ridimensionano le aspettative su ciò che potranno diventare. I coetanei maschi, invece, continuano a guardare al futuro come a uno spazio aperto, dove tutto è possibile.
“Se puoi sognarlo, puoi farlo”, diceva Walt Disney. Ma che succede se non riesci nemmeno a sognare? Fantasticare in piccolo, già a sei anni, è una condanna per la vita. Le bambine che oggi non si immaginano scienziate, astronaute, presidenti o filosofe sono le donne di domani che non ci proveranno nemmeno, convinte di non essere abbastanza.
Le ricerche confermano questo fenomeno. Diversi esperimenti hanno dimostrato che già a partire dai sei anni diminuisce la probabilità che le bambine associno il concetto di brilliance – la genialità, l’essere “davvero intelligenti” – al proprio genere. Perdono interesse per le attività presentate come destinate a persone “really, really smart”. Crescendo, questa falsa credenza si rafforza: i maschi sarebbero “più adatti” a certi ruoli, e così le ragazze si allontanano dalle carriere scientifiche e tecnologiche, alimentando il gender gap nelle STEM.
Nonostante i progressi degli ultimi anni, le iscrizioni femminili nelle materie STEM restano sotto il 40% e, in Italia, appena il 16,2% delle lauree STEM è al femminile, contro il 37,3% degli uomini. È il riflesso di stereotipi di genere che da secoli relegano le donne a ruoli “di cura” o a professioni considerate più conciliabili con la famiglia, ignorando quanto il mondo sia cambiato e quanto la parità richieda servizi più avanzati e un reale equilibrio nei congedi parentali. Non a caso, nel Gender Gap Report 2024 del World Economic Forum, l’Italia ha perso otto posizioni.
Il sogno negato non è solo un problema individuale, ma un danno collettivo. Colmare il gender gap nel lavoro significherebbe far crescere il PIL pro capite dell’Unione Europea dal 6,1% al 9,6% entro il 2050 (Istituto Europeo per la Parità di Genere). E a beneficiarne sarebbero anche le aziende: gli studi dimostrano che dove le donne siedono nei ruoli decisionali aumentano redditività, innovazione e creatività.
Cosa serve, allora, per trasformare i sogni delle bambine in obiettivi reali? Servono incoraggiamenti precoci da parte delle famiglie e delle scuole. Servono role model femminili forti, capaci di lasciare un segno. Servono narrazioni nuove, libri di storia aggiornati, storie che parlino di possibilità, non di limiti. E serve soprattutto solidarietà: non solo tra donne, ma anche tra uomini e donne insieme, perché la parità di genere è una costruzione collettiva, inclusiva, plurale.
I sogni sono il motore più potente che abbiamo: bussola, radici e ali insieme. Permettono di immaginare mondi nuovi e di costruire possibilità. Per questo è fondamentale restituire alle bambine il diritto di sognare senza limiti, senza chiedere il permesso. Perché nessun sogno è troppo grande, nessuna aspirazione è troppo audace, nessun futuro è irraggiungibile. E forse la vera rivoluzione comincia proprio da qui: dal custodire i sogni delle bambine e accompagnarli fino a farli volare in alto.




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