Quando la crisi bussa alla porta: perché serve la psicologia dell’emergenza anche in azienda
- Lara Pelagotti
- 9 giu
- Tempo di lettura: 2 min
Non ci pensiamo mai. Le emergenze, i momenti critici, quelli che stravolgono l’equilibrio di una giornata o di un’intera organizzazione, sembrano sempre qualcosa che accade altrove. E invece arrivano, a volte senza preavviso: un incidente sul lavoro, una ristrutturazione improvvisa, un lutto che colpisce un collega, un evento traumatico che scuote un intero reparto. In quei momenti, il silenzio cala negli uffici. Le parole si fanno poche.
Le emozioni, invece, esplodono.
È qui che entra in gioco la psicologia dell’emergenza: una disciplina che ha a che fare con il prendersi cura, con l’ascolto profondo, con l’accompagnare le persone nei momenti in cui tutto sembra crollare.
Spesso, quando pensiamo alla psicologia dell’emergenza, ci vengono in mente le grandi catastrofi – i terremoti, gli attentati, le alluvioni. Ma anche un’azienda può vivere un'emergenza. E quando accade, non bastano i protocolli o le email istituzionali. Serve qualcuno che possa aiutare nel leggere lo shock nei volti, che riconosca i segnali del trauma anche quando si mimetizzano dietro la professionalità ed il bisogno di "andare avanti", che sappia accogliere e validare il dolore, la paura, la rabbia.
In un'azienda, un evento critico può lasciare un segno profondo: cali di produttività, aumento dell’assenteismo, tensioni latenti, disorientamento. Ma, ancora prima di tutto questo, può toccare le persone nella loro vulnerabilità. E allora, la vera sfida è prendersi cura del lato umano della crisi.
La psicologia dell’emergenza ci insegna che il tempo della risposta è fondamentale.
Non si tratta di “fare terapia” nel senso tradizionale, ma di offrire un contenitore emotivo: uno spazio sicuro in cui i dipendenti possano esprimere ciò che provano, anche solo con uno sguardo o con un lungo silenzio. È uno spazio dove dire “non ce la faccio” è legittimo, e dove si può iniziare a ricostruire, un passo alla volta, ragionando sulle strategie di risposta ad eventi tanto impattanti.
E poi c’è la prevenzione. Formare i manager, preparare i team, costruire una cultura della cura: tutto questo rende un’azienda più resiliente. Non invincibile, perché nessuna azienda lo è, ma capace di assorbire i colpi e di riorganizzarsi.
Lo abbiamo visto durante la pandemia: chi ha investito sul benessere psicologico dei propri dipendenti è riuscito a tenere insieme non solo i numeri, ma soprattutto i legami tra le persone.
E oggi lo sappiamo ancora meglio: la salute mentale deve essere un obiettivo aziendale. Non è un lusso, non è un “extra”: è parte integrante della sostenibilità e del futuro di ogni impresa.
Portare la psicologia dell’emergenza dentro le aziende significa avere il coraggio di guardare in faccia la fragilità umana ed insieme la possibilità, sempre presente, di rinascere anche dalle situazioni più difficili. Non si tratta di evitare la crisi, ma di essere pronti ad affrontarla insieme.
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