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La ricerca People Care nella gestione dell’emergenza Covid-19

La ricerca People Care nella gestione dell’emergenza Covid-19


di Francesca Brazzi e Silvia Lugo




Un progetto di ricerca per il benessere e la sicurezza delle persone: abbiamo bisogno, ora più che mai, di adottare un approccio olistico alla cura, alla gestione integrata di sicurezza, di rischi e di emergenze, un approccio che guidi e aiuti noi e le nostre aziende a disegnare nuove rotte. Solo così saremo pronti per governare quel cambiamento che ci porterà al prossimo futuro con serenità, consapevolezza e centratura. Per questo è nato il nostro progetto di ricerca che ha coinvolto le popolazioni aziendali per creare una mappa chiara e precisa di bisogni concreti delle persone.


Di fronte a livelli di stress elevati che si stanno verificando nella popolazione dei lavoratori ci si interroga su quanto alcuni fattori specifici possano contribuire significativamente al benessere degli individui. I lavoratori, in particolare, sono sottoposti spesso a duplice stress in quanto se rimasti operativi nelle aziende, devono affrontare quotidianamente il rischio di contagio con la paura di mettere in pericolo la vita dei propri famigliari. In altri casi invece molti lavoratori subiscono forte stress per la riduzione o la perdita del lavoro e per conseguenze a livello economico.


Il progetto People Care nella gestione dell’emergenza Covid-19, realizzato e attuato dalla Scuola Internazionale Etica & Sicurezza, nasce con un approccio metodologico di crisis management e in un’ottica sistemica che parte da una prospettiva individuale, sociale e organizzativa per rimettere l’individuo al centro e per prendersi cura delle persone e delle aziende in un’ottica a 360°.


Il lavoratore è prezioso per la vita dell’organizzazione e il modello al quale i nostri interventi di People Care si ispirano è quello di FACE COVID, un approccio olistico di cura, gestione integrata di sicurezza, di rischi e di emergenze.


L’ipotesi di ricerca su cui si è focalizzato lo studio è consistita nel verificare se l’appartenenza a categorie di lavoratori impiegati nella sicurezza aziendale o facenti parte di una funzione professionale orientata al rischio, così come l’appartenenza ad un nucleo famigliare o infine la differenza di genere abbiano potuto incidere significativamente sugli esiti psicologici vissuti durante i primi nove mesi dall’inizio della pandemia.

Lo scopo di questo studio è stato quello di verificare lo stato di benessere nei lavoratori e liberi professionisti, di varie estrazioni sociali e di diversi contesti aziendali sparsi sul territorio italiano. L’interesse della ricerca era volto a comprendere se il loro vissuto emotivo, specialmente rievocando la fase del primo lock-down, abbia fatto riscontrare manifestazioni emotive di forte disagio riconducibili a disturbo da stress post traumatico (PTSD) e quanto i lavoratori si siano sentiti resilienti e capaci di trasformare in crescita post-traumatica l’evento negativo vissuto ed attuale. La ricerca ha assunto la funzione di facilitatore nella presa di coscienza, all’interno degli ambienti lavorativi, delle conseguenze psicologiche che nel breve e medio termine potrebbe destare la situazione di emergenza pandemica.


Questo intento è nato per rispondere alle esigenze dei lavoratori e sostenere le aziende nel delicato compito di portare i propri collaboratori ad una “normalizzazione” dell’emergenza e prepararsi a nuovi scenari in cui la crisi e il cambiamento costituiscono la nuova normalità e faranno parte integrante della vita lavorativa, dove il senso di responsabilità e di cooperazione tra le persone e la sostenibilità diventano obiettivo comune di tutti.


I risultati hanno evidenziato differenze significative dei livelli di stress rilevate nei lavoratori non professionisti della sicurezza, nei lavoratori con famiglia e nel genere femminile di cui il 10.11% del campione totale ha registrato un valore di rilevanza clinica (32 punti all’interno del range di 31-33 punti). Nello specifico, il gruppo dei lavoratori della sicurezza mostra valori più alti nello stato di allerta e vigilanza (il 43%) contro invece valori significativamente diversi per i non professionisti della sicurezza nella gestione delle emozioni fortemente negative e nel sentirsi sconvolto quando qualcosa ricorda l’evento stressante (p-value <0.05). I risultati possono essere in linea con i background professionali dei colleghi della sicurezza oltre che con le attività svolte nei Comitati di Crisi. La maggior parte di questi professionisti prima di entrare in azienda ha avuto esperienze militari significative e ciò può voler dire abitudine a gestire criticità, lavorare nelle emergenze e avere un controllo emotivo. Essi poi sono dal 21 febbraio ininterrottamente impegnati nella gestione dell’emergenza. Questo ha comportatolavorare sempre con tre focus diversi: comprendere scenari relativi all’emergenza sanitaria, studiare, interpretare e semplificare la normativa nazionale e locale, trovare soluzioni e fornire indicazioni per la popolazione aziendale. “Farsi faro” in scenari incerti e mutevoli, trovare strategie ed azioni operative relative alla salute e sicurezza delle persone è un impegno gravoso che senza dubbio ha tenuto “attivati” i colleghi. L’ “effetto sorpresa” della non previsione di un evento pandemico nel Risk Manual delle aziende (il dato rilevato dal nostro Centro Studi si attestava sul 57% delle aziende ad aprile 2020), le caratteristiche tipiche di questa emergenza, la complessità dell’evoluzione degli scenari (sanitari, economici e sociali) e della normativa, hanno portato ad un aumento di arousal del tutto prevedibile. Ancora, nel genere femminile si rivela una differenza significativa per i problemi di concentrazione e l’evitamento di ricordi, pensieri o sentimenti legati all’esperienza stressante (p-value <0.05). Infine per i lavoratori con famiglia, una differenza significativa si riscontra nella sensazione di avere i nervi a fior di pelle o sentirti facilmente spavento (p-value < 0.05) mentre i dati non evidenziano differenze significative fra i due gruppi (con o senza famiglia) per i problemi di concentrazione e i problemi legati al sonno, ciò a sostegno della tesi che la pandemia Covid-19, essendo un evento altamente stressante sotto diversi aspetti, arreca alla popolazione problematiche a livello fisiologico e psicologico indipendentemente da fattori protettivi o meno. I dati sono coerenti con la maggior attivazione che il ruolo gioca nel richiedere costantemente uno stato di allerta per affrontare un momento emergenziale generale, che esso sia lavorativo (essere esperto dell’emergenza), sociale (avere una famiglia) e di genere (femmine).


Maggiori livelli significativi di resilienza si sono invece riscontrati sia nei lavoratori professionisti della sicurezza che in quelli con famiglia e nel genere maschile. I professionisti della Sicurezza sono più resilienti degli altri lavoratori. Ancora una volta di fronte a una situazione di emergenza queste persone riferiscono in generale un buon adattamento, nonostante l’esposizione ad un nuovo stressor come il Covid-19: si adattano al nuovo contesto superando una reazione di disfunzione temporanea. Una delle skills, o perchè no, un fattore di protezione che un lavoratore di qualsiasi ambito della sicurezza deve avere è il concetto di flessibilità e capacità creativa di osservare la situazione per individuare nuove soluzioni. I risultati sono coerenti anche con le caratteristiche di genere del cluster. Essi sono infatti in prevalenza uomini che dai dati osservati hanno mostrato valori più alti di resistenza allo stress e resilienza.


Per quanto riguarda la Crescita Post-Traumatica nel gruppo dei lavoratori non si evidenziano differenze significative poiché entrambi i gruppi mostrano livelli elevati nei punteggi del questionario, ma per i lavoratori della sicurezza negli item relativi alla fede religiosa più forte (il 10%) e alla consapevolezza di poter fare nella vita cose migliori (il 38%) si sono registrate significative differenze (p-value < 0.05). Avendo avuto la possibilità di ascoltare le loro testimonianze in questi mesi possiamo confermare che i colleghi stanno affrontando questa esperienza con una consapevolezza sempre maggiore della loro autoefficacia e diremo anche del ruolo sociale fondamentale delle loro attività nelle imprese. Inoltre, gli elevati punteggi del genere femminile relativi alla Crescita Post-Traumatica (17 item su 21), potrebbero suggerirci la maggior propensione delle donne a vivere un cambiamento positivo a partire da un evento traumatico, che nel nostro caso è la Pandemia da Covid-19.


Questa prima ricerca ha rafforzato le nostre motivazioni. È importante proseguire nell’analisi di criticità e bisogni specifici della popolazione aziendale durante questa emergenza. Le caratteristiche relative alla durata, all’isolamento, al cambiamento di tutti i paradigmi tipici del lavoro ci hanno animato e ci animano nel voler progettare interventi di supporto e aiuto. Le imprese hanno un ruolo sociale importante in questo momento, possono davvero fare la differenza per i loro dipendenti e famiglie. La pandemia ha rafforzato un concetto chiave. Il luogo di lavoro insomma – come recentemente in un’intervista rilasciata per “La Stampa” ha ricordato Marco Bentivogli (Segretario Generale dei metalmeccanici della CISL) – “deve diventare un safe-place: un posto assolutamente protetto, più della propria casa”. È proprio il binomio casa lavoro che è mutato. Rendere un luogo sicuro significa in questo momento non solo renderlo tale con contromisure organizzative o strumenti tecnici ma partire dalle persone. Rendere sicure e fare stare bene le persone che collaborano con noi, questa la sfida! Prendersi cura.


Ci auspichiamo che quest’analisi possa essere presto ripresa per monitorare lo stato di benessere psico-fisico dei lavoratori in modo longitudinale poiché l’obiettivo dello studio, in un’ottica ecologica e di sostenibilità, è quello di poter servire alle aziende per poter attuare provvedimenti atti a prevenire eventuali esiti di forte stress o addirittura psicopatologie dovute all’emergenza pandemica, con effetti negativi anche sulle prestazioni lavorative.


Le aziende e gli ordini dei professionisti dovrebbero infatti saper valorizzare le potenzialità e le risorse di resilienza dei propri dipendenti, fortificandole attraverso percorsi di formazione e sostegno individuali e/o di gruppo, che rientrano nell’ambito dei programmi di sostegno al benessere definito con il termine di “people care”.


La crisi e la pandemia attuale ci stanno insegnando a ricercare un nuovo equilibrio. L’approccio metodologico della Scuola Internazionale Etica & Sicurezza per l’elaborazione delle proposte progettuali si ispira al presupposto che governando il cambiamento in un mondo in cui la consapevolezza di sé possa emergere e aiutare noi e le nostre organizzazioni a disegnare nuove rotte arriveremo al prossimo futuro con serenità, consapevolezza e centratura.

Il nostro proposito più forte è quello di attivare un movimento in cui People Taking Care of People diventi un manifesto condiviso in tutte le aziende.


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