Lo scorso dicembre sono stata convocata a Roma, nella splendida cornice della Biblioteca Angelica, per ricevere dall’associazione culturale L’Alba del Terzo Millennio, il premio ‘Le Ragioni della Nuova Politica’, premio dedicato alle personalità italiane che nel nostro Paese si sono distinte per l’impegno sociale, umano, professionale e culturale. Il mio primo pensiero è andato alle tante donne come me che si sono impegnate a fondo in percorsi professionali in cui la parità di genere è ancora un obiettivo da raggiungere, nemmeno tanto vicino. Il mio augurio a tutte le donne del mondo è quello di continuare a battere su quel soffitto di cristallo che è sempre più crepato, scheggiato ma, per quanto resistente, non indistruttibile.
Sempre nella stessa occasione sono stata invitata a intervenire nel dibattito ‘Intelligenza Artificiale, grandi soluzioni o grandi problemi’, tema attualissimo che ci costringe a profonde riflessioni e ad uno sforzo di consapevolezza e di responsabilità quando interagiamo con lo sviluppo della tecnologia. L’intelligenza artificiale dovrebbe essere uno strumento innovativo, un supporto che ci consente di risolvere i problemi e di individuare opportunità di sviluppo. E’ anche, in definitiva, una delega, si affida ad altri, una macchina in questo caso, ciò che potrebbe comportare grande investimento di tempo e risorse. Se da una parte tutto ciò rappresenta il futuro, dall’altra c’è il grande rischio di rimanere affascinati da quello che consente di fare cose che sarebbero state inimmaginabili solo qualche decade fa, come ad esempio parlarsi guardandosi negli occhi se pur collocati ai poli opposti del pianeta. Questo è il tema: quanto potremmo rischiare di rimanere vittime di questo fascino? Quanto potremmo controllare uno strumento che progettiamo per essere in grado di imparare da solo? Imparare dall’esperienza, esattamente come facciamo noi, con la differenza che l’intelligenza artificiale può avvalersi di strumenti di raccolta dati, calcolo e di previsione infinitamente più veloci e sofisticati di quelli del nostro cervello.
Concordo nel ritenere quindi che l’intelligenza artificiale possa essere un grande rischio per l’umanità e che, per questo, sia necessario costruire attorno alla ricerca una cornice etica e normativa che possa mettere in sicurezza la società di oggi e di domani. Dall’altra parte ritengo che l’uomo sia immensamente più perfetto di qualsiasi sua creazione, meno veloce, forse, meno razionale, sicuramente, ma più completo e sublime nel senso letterale ‘che giunge alla soglia più alta’, luogo dal quale sarà sempre in grado di vedere il futuro con l’umanità nello sguardo e la responsabilità nell’animo. La nostra capacità di tendere a cogliere l’infinito non è di nessuna altra specie, non potrà mai appartenere alle macchine se non tramite l’esercizio di un algoritmo. Splendide le parole che usò Leopardi “da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude” per ricordarci quella parte di orizzonte più lontano che il nostro sguardo non vede ma il nostro sentire coglie. Ecco svelato il vero rapporto uomo-macchina: potremo sempre rispondere alle domande della tecnologia e guidare le macchine fino a che sapremo rivolgerci alla natura più profonda dell’essere umano.
Abbiamo avuto paura della globalizzazione, di internet, dei viaggi interspaziali in bilico tra il desiderio di evolvere e la paura di farci del male. Ora tocca all’intelligenza artificiale, che saprà certamente cosa desideriamo acquistare, quando dobbiamo riposare e cosa dobbiamo mangiare, ma che non potrà mai sostituirsi a noi fino a che sapremo cogliere la grande differenza che c’è tra il fare e il sentire, l’eseguire e il progettare, l’elaborare e il pensare. La grande differenza che c’è tra la macchina e l’uomo o, tornando all’incipit e lanciandoci nel futuro… tra la macchina e la donna.
Paola Guerra
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