Tecnostress: un rischio silenzioso per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro
- Luca Sartori

- 29 set
- Tempo di lettura: 3 min
Si avvicina 10 ottobre, data convenzionalmente scelta per aumentare la consapevolezza sui problemi legati alla salute mentale e il loro impatto sulla vita individuale e sociale. Nel 2024, il World Health Day mise in risalto la salute mentale nell'ambito lavorativo con lo slogan It is time to prioritise mental health in the workplace, “È tempo di dare priorità alla salute mentale sul posto di lavoro", sottolineando la connessione tra ambiente lavorativo e benessere psichico e l'importanza di creare luoghi di lavoro sani e sicuri. L’attenzione da parte di aziende e lavoratori (soprattutto le nuove generazioni) sta aumentando: si riconoscono, ad esempio, il sovraccarico lavorativo, la pressione temporale, le relazioni conflittuali, una comunicazione carente, il work-life balance, come caratteristiche del lavoro che hanno effetti potenzialmente negativi sulla salute e sui quali investire per migliorare la vita professionale delle persone. Nell’ambito della Salute e Sicurezza sul lavoro, resta tuttavia ancora poco noto e troppo sottovalutato un rischio: il tecnostress.
Quanto se ne parla nelle aziende? Quante iniziative di formazione sono promosse sul tema? Le persone sono consapevoli dei problemi legati all’uso delle tecnologie? I lavoratori, specialmente i white-collars, sono adeguatamente tutelati rispetto a una sovraesposizione tecnologica?
Il tecnostress deve essere considerato un rischio psicosociale rilevante perché erode silenziosamente la soddisfazione lavorativa, l’impegno organizzativo e aumenta l’assenteismo e il turnover dei lavoratori. Non si tratta di un problema “nuovo”: il termine era stato coniato dallo psicologo americano Craig Brod nel 1984 per indicare il disturbo caratterizzato dall’incapacità di gestire le tecnologie informatiche. Tali tecnologie da allora si sono esponenzialmente evolute e abbiamo assistito a una profonda trasformazione digitale della nostra vita, sia personale che professionale, accelerata dal Covid-19. Nel contesto pandemico, il tecnostress ha interessato in particola modo quei lavoratori che sono stati costretti a utilizzare supporti digitali in forma continuativa nel proprio ambiente domestico.
SINTOMI ED EFFETTI DEL TECNOSTRESS
È indubbio che, nonostante il graduale ritorno alla normalità, il consolidamento di nuove abitudini lavorative, la sovraesposizione all’uso delle ICT e l’aumento della loro complessità, ci abbia portato a sacrificare il rispetto dei criteri ergonomici dell’ambiente, delle postazioni e delle attrezzature di lavoro, con effetti negativi non trascurabili sul piano fisico e psicologico: disturbi muscoloscheletrici, ansia, irritabilità, frustrazione, insonnia, emicrania, affaticamento cronico, dipendenza tecnologica, aggressività, isolamento, alterazioni dell’appetito; difficoltà di concentrazione, cali di attenzioni e vuoti di memoria. Queste sono solo alcune delle conseguenze del tecnostress, che si traducono inevitabilmente in conseguenze negative sulle prestazioni lavorative, e quindi sui risultati organizzativi.
Il tecnostress è una malattia professionale?
Nel 2007, una sentenza emessa dal procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello, a seguito di esposti di lavoratori di un call center, riconosceva il tecnostress come malattia professionale. Nel 2014 l’INAIL definisce il tecnostress come malattia professionale non tabellata (cioè non prevista tra le tabelle ufficiali), il che significa che il riconoscimento richiede la prova che il danno sia derivato dall’attività lavorativa.
Nonostante non siano disponibili dati statistici aggiornati e consolidati sul tecnostress in Italia, esso rientra di fatto nell'obbligo di valutazione dei rischi ai sensi del Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro. (D.Lgs. 81/2008). Solo lo scorso aprile 2025, l’INAIL introduce un importante elemento di novità nell’aggiornamento della metodologia per la valutazione stress lavoro-correlato: un nuovo modulo contestualizzato al lavoro da remoto e all’innovazione tecnologica.
Con l'accesso al lavoro 24/7, reso possibile dalle ICT, dal telelavoro e dall'automazione basata sulla tecnologia, diventa infatti essenziale esplorare e valutare l'impatto che il lavoro “sempre e ovunque” ha sui lavoratori. Va sottolineato che le nuove tecnologie portano innumerevoli vantaggi, ma ciò che fa la differenza sul nostro benessere dipende dal modo in cui esse vengono utilizzate. Le aziende dovrebbero considerare più seriamente il fenomeno e adottare misure di prevenzione del rischio tecnostress a livello individuale e organizzativo, promuovendo strategie e modalità di lavoro che tutelino il benessere fisico e mentale dei propri dipendenti.
Che cosa possa fare io?
Non dobbiamo dimenticare che ciascuno di noi è in larga parte responsabile della propria salute. Possiamo quindi impegnarci a:
Limitare l'uso delle tecnologie: stabilire orari e periodi di disconnessione dai dispositivi.
Sviluppare competenze: partecipare a corsi e formazione per migliorare la capacità di utilizzare la tecnologia.
Definire confini: creare separazione tra vita privata e lavorativa per evitare che la tecnologia invada ogni aspetto della vita.
Praticare esercizi fisici: stretching, mobilità articolare e di rinforzo
Integrare tecniche di rilassamento come la respirazione profonda, la meditazione, e lo yoga, per ridurre ansia e tensione, sia psicologica che muscolare.
Come SIES, nell’ambito delle attività di People & Organization Care proposte per la area verde, stiamo collaborando con un nostro partner a un grosso progetto formativo sul tecnostress rivolto ai dipendenti italiani di multinazionale nel settore della tecnologia per l'ambiente di lavoro.




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