Un anno fa scienziati e ricercatori ci hanno messo ripetutamente in allerta su come una pandemia silenziosa di salute mentale corresse insieme a quella di coronavirus. La Società Italiana di Neuro Psico Farmacologia (Sinpf), al Convegno nazionale tenutosi nei giorni scorsi, ha dichiarato la necessità di affrontare la pandemia da Covid-19 con un “approccio sindemico” poiché forti e travolgenti sono le sue ripercussioni economiche, emotive e culturali che agiscono come moltiplicatore del malessere psichico.
Dal greco συν (insieme) e δήμος (popolo), con sottinteso “νόσημα” (patologia), il termine sindemia è la fusione delle parole sinergia, epidemia, pandemia ed endemia. Introdotto negli anni 90 dall’antropologo medico M. Singer tale concetto si propone di approfondire l’interazione sinergica tra più malattie e le situazioni sociali in cui esse si realizzano. Un approccio sindemico esamina quindi le conseguenze sulla salute delle interazioni tra le patologie e i fattori sociali-ambientali-economici che promuovono o peggiorano la malattia. È introducendo come sfondo una prospettiva bio-psico-sociale della salute che possiamo permetterci come comunità di comprendere questi meccanismi in ottica di prevenzione, prognosi, trattamento e soprattutto, di politiche sanitarie.
Le situazioni di emergenza producono sempre anche delle emergenze sul piano psicologico nei termini di disturbi psichici e malattie somatiche, nei singoli e nella collettività. Ciò avviene anche a distanza di anni. Pensiamo al fenomeno psicologico successivo all'Uragano Katrina che ha devastato il Sud degli USA nel 2005 o al terremoto dell'Aquila del 2009. Nel gergo si chiama “l’onda lunga” e mostra gli effetti, ampiamente conosciuti, dello stress sulla salute.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2013 ha emanato delle Linee Guida per la gestione dello stress in queste emergenze (WHO Guidelines for the Management of Conditions Specifically Related to Stress), il cui scopo è raccomandare gli interventi psicologici nei termini di priorità dei casi e tempestività di intervento. Il Pronto Soccorso Psicologico e l’aiuto psicologico (d'altronde come il Pronto Soccorso Sanitario) rispondono in questi casi ad una regola temporale: più è tempestivo e mirato, più risulta efficace e protettivo per il futuro. Va da sé che debba sempre camminare su un doppio binario: collettivo-individuale e di prevenzione-sostegno.
Gli psichiatri italiani Massimo Biondi e Angela Iannintelli analizzano le conseguenze che il Covid-19 sta portando sulla salute mentale dell'individuo, specificando una condizione del tutto nuova nei quadri clinici dal nome “stress da pandemia”: una condizione di stress perdurante e perturbante e di miscela di stress "non convenzionale" individuale e comunitario, che colpisce il presente sì, ma lascia le menti attonite e le persone annichilite, offuscando e dissestando il futuro. Una condizione che passa da uno stress acuto a uno stress cronico successivo dove l'adattamento alla sopravvivenza è duplice: da un lato è dell'individuo che deve rispondere al rischio mortale di contagio e dall'altro è psicosociale ed economico, per fare fronte al lockdown, gestire i danni e ricostruire la rete sociale. Lo “stress da pandemia”, sottende e precede i quadri clinici, in aumento in tutto il mondo, compresa l’Italia, quali ansia, depressione, sentimenti di angoscia e disturbi del sonno (Qui J et al. 2020; Rossi R et al.2020; Talento D et al. 2020; Costantini A et al. 2020; Delmastro & Zamariola, 2020).
Ad oggi, nel capitolo del Covid-19 si aggiunge purtroppo un'ulteriore fase: la stanchezza pandemica o "pandemic fatigue". A coniare il termine è stata l'Organizzazione mondiale della sanità che la definisce nel 2020 una "sensazione naturale di stanchezza e sfinimento dovuta a uno stato di crisi prolungato" come la pandemia da coronavirus. ll documento “Pandemic fatigue. Reinvigorating the public to prevent Covid-19” dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’OMS (traduzione italiana “Pandemic fatigue. Rinvigorire e motivare le persone per prevenire il Covid-19”) fornisce strategie, principi trasversali e azioni concrete per mantenere il sostegno della cittadinanza verso le misure di contrasto al Covid-19.
È una stanchezza legata alla pandemia caratterizzata da apatia, demotivazione e stress. La sensazione di sfinimento e quel vissuto di malessere generale dovuto alle mille incertezze, così forte da immobilizzarci: “una reazione a eventi eccezionali prolungati, una reazione psicofisica ad uno stress duraturo, con sintomi psicologici di stanchezza, disillusione e sintomi fisici correlati allo stress prolungato...E' un tipo di fatica molto particolare, una stanchezza mentale con perdita di forza psichica e ha un nome preciso "anergia" ovvero quella sensazione in cui si desidera fare una cosa ma poi non la si fa, non per un impedimento fisico, ma perché mentalmente faticosa e quindi si rinuncia. Questa forma di stanchezza è insidiosa poiché all'inizio non è facilmente riconoscibile: uno dei primi segnali è l'insofferenza verso le regole per contrastare l'epidemia e contenere il diffondersi del Covid-19". Queste le parole della psichiatra e psicanalista italiana Dott.ssa Adelia Lucattini.
Le persone colpite sono gli adulti, sia genitori che lavoratori, gli adolescenti, i bambini e gli anziani. Gli elementi critici all'espressione e sviluppo di questa reazione sono le misure di sicurezza che hanno fatto di questa emergenza un’emergenza quotidiana. La mancanza di un chiaro orizzonte futuro adatto a sopportare ancora l'impotenza dell’incerto e dell’ignoto e insufficienti tempi di recupero per smaltire lo stress comportano reazioni che vediamo sempre più frequentemente nei casi di burn-out (esito patologico di un processo stressogeno) degli operatori sanitari e di chi lavora nell'ambito della sicurezza-emergenza o in generale nello stress lavorativo che colpisce i nostri lavoratori.
Secondo l’OMS, se già prima le policy governative non tenevano il passo rispetto alla presa in carico della salute mentale dei loro cittadini, destinando solo il 2% della spesa sanitaria globale, oggi questa pandemia le ha letteralmente messe in ginocchio. Le conseguenze psicologiche dovute all’isolamento, allo stress, alla paura e all’incertezza del domani sono state slatentizzate e ora ribollono all’interno di un pentolone di trauma collettivo pronto ad esplodere.
L’impatto sociale scaturito e gli effetti psicologici esacerbati da questa condizione umana toccano la sfera sociale a tutti i suoi livelli, dove ancorato nelle radici più profonde dell’abisso umano è il pregiudizio legato alla salute mentale.
La sindemia da Covid-19 infatti, colpisce anche le persone non toccate direttamente dal virus ed ha conseguenze molto disuguali tra le classi sociali: per le persone contagiate un’incidenza del 42% di ansia o insonnia, del 28% di disturbo post-traumatico da stress e del 20% di disturbo ossessivo-compulsivo e inoltre il 32% delle persone venute a contatto col virus sviluppa sintomi depressivi, sintomi che raddoppiano il rischio anche nelle persone disoccupate o con un reddito inferiore ai 15.000 euro all’anno.
Pertanto, in quanto comunità, la vera sfida consisterà nel comprendere da parte di tutti la necessità di promuovere e sviluppare una cultura più sistemica ed integrata intorno alla salute mentale e fisica, al benessere, alla sicurezza integrata nei luoghi di lavori, alla gestione dell’emergenza domestica/quotidiana e alla prossimità di cura. Solo così la nostra traiettoria di sviluppo può compiere quel SALTO DI SPECIE verso l’evoluzione. A tal proposito, rafforzare la capacità di tutti i paesi, in particolare quelli in via di sviluppo, per la prevenzione, riduzione e gestione dei rischi per la salute nazionale e globale è un obiettivo dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità.
Il pregiudizio legato alla salute mentale ha sempre pervaso anche il posto di lavoro così come qualsiasi altro contesto sociale-relazionale. Pertanto, la presa di coscienza delle tematiche relative alla salute fisica e mentale anche negli ambienti di lavoro risulta ad oggi una priorità mondiale ed è il primo passo che stiamo compiendo verso un’ottica bio-psico-sociale del benessere.
Arnaud Bernaert, capo dell’iniziativa Shaping the Future of Health and Healthcare, al World Economic Forum, ha affermato “Visto che oltre la metà degli adulti che lavorano ha rilevato di soffrire sempre di più di ansia e, contestualmente, di aver riscontrato una diminuzione della produttività sul lavoro a causa del Covid-19, l’azione coordinata e le partnership pubbliche-private si stanno dimostrando fondamentali per stimolare, a livello globale, l’azione tra i datori di lavoro per promuovere il benessere della loro forza lavoro ora e nel futuro”.
Come necessità aziendale, azione di gruppo ed imperativo sociale, la Global Business Collaboration for Better Workplace Mental Health, i cui membri fondatori includono amministratori delegati di BHP, Clifford Chance, Deloitte, Hsbc, Salesforce e Unilever, si è data come priorità quella di investire nella salute mentale di tutti i dipendenti. Lo scopo è quello di “aumentare la consapevolezza dell’importanza della salute mentale sul posto di lavoro e facilitare l’adozione delle pratiche migliori”. Queste le parole di Punit Renjen, CEO di Deloitte: “come leader aziendali, abbiamo la responsabilità di abbattere lo stigma associato a diversi problemi di salute mentale, come stress e ansia, per garantire che tutti possano prosperare sul lavoro”.
Il gruppo sta incoraggiando i leader di altre aziende, grandi o piccole, a unirsi a loro nel portare avanti un dialogo rivolto alla creazione di “un ambiente di lavoro aperto, accogliente e di supporto per tutti, soprattutto quando è in ballo la salute mentale” dove il singolo lavoratore viene riconosciuto sia in quanto persona che come parte integrante del sistema aziendale.
Cambiamo prospettiva e guardiamo questa emergenza come un’occasione di rinascita per modificare la traiettoria di sviluppo per le persone e progredire tutti insieme come una grande squadra verso un’evoluzione della specie umana.
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